In foto: uno dei motori del DC9 Itavia recuperati, a bordo della nave Nadir
Valanga di menzogne

La verità è un valore assoluto, o almeno dovrebbe essere tale per un giornalista. Mi sono occupato professionalmente della strage di Ustica per lunghi anni e non sono ancora in grado di affermare quale sia la verità. Mi sono sempre sforzato di raccontare solamente i fatti e lo farò ancora.

I fatti sino ad oggi consentono di affermare:

• il DC9 dell’Itavia Bologna- Palermo è precipitato il 27 giugno 1980 fra Ponza e Ustica con 81 persone a bordo;
• l’aereo NON è stato distrutto dall’esplosione di una bomba collocata nella toilette di bordo dal terrorista nero Marco Affatigato, anch’egli tra le vittime: la tavoletta del water è stata ripescata in fondo al mare completamente integra e lo stesso Affatigato smentì la notizia della propria morte;
• il DC9 NON è collassato a causa di danni strutturali: per quanto vecchio, l’aereo era in buona efficienza;
• l’aereo dell’Itavia è stato forse abbattuto da un missile aria-aria lanciato da un caccia, come gli stessi militari della nostra Difesa aerea avevano subito sospettato. Magistrati e tecnici italiani e stranieri lo hanno desunto dall’esame dei tracciati-radar indicanti nei cieli del Tirreno sia la presenza del DC9 sia quella del probabile aggressore che attaccava da Ovest con il sole alle spalle: tipica manovra di guerra. L’aggressore in tal caso avrebbe voluto colpire un altro velivolo che volava sotto al Dc9. Altra ipotesi, una manovra azzardata di un velivolo militare, prossima al DC9, avrebbe provocato un forte vortice e causato prima il distacco di un motore quindi il collasso dell’aereo civile; un’altra ipotesi è stata avanzata dal giornalista Claudio Gatti il quale, nel libro-inchiesta “Il quinto scenario” scritto con Gail Hammer attribuisce la responsabilità dell’abbattimento del DC9 a un pilota militare israeliano. Scopo dell’azione, colpire un velivolo che trasportava l’uranio destinato alla costruzione di una bomba atomica dell’IRAQ; per tragico errore abbatté invece il DC9.
• il DC9 NON è stato abbattuto da un caccia americano decollato dalla portaerei Saratoga, la quale si trovava e rimase alla fonda nel porto di Napoli. Consegnai personalmente al giudice Vittorio Bucarelli il microfilm del libro di bordo della portaerei, e della fregata di scorta Dalgreen, che mi era pervenuto dopo una richiesta ufficiale avanzata al Pentagono dalla Rai;
• l’aereo NON è stato abbattuto dal Mig23 libico rinvenuto il 18 luglio dello stesso anno (21 giorni dopo) in località Timpa delle Magare, Castelsilano, Calabria, con il cadavere del suo pilota. Il tentativo di addebitargli l’abbattimento del DC9 venne sostenuto affermando che il cadavere era quasi decomposto, pertanto precipitato dopo aver abbattuto il DC9. La tesi cadde miseramente sia per decisione della magistratura, sia durante un drammatico interrogatorio in Commissione Stragi dei medici che avevano effettuato l’autopsia: per incapacità o costrizione avevano avallato una tesi falsa;
• il presidente Francesco Cossiga rivelò che il DC9 italiano venne abbattuto da un caccia francese decollato dalla portaerei Clemenceau. Il missile fu lanciato per colpire un aereo libico sul quale si riteneva viaggiasse il colonnello Gheddafi e l’aereo italiano venne colpito per errore. Il pilota francese responsabile si sarebbe poi tolto la vita per il rimorso.

CONSIDERAZIONI E MEMORIE
Enunciati i fatti, aggiungo altri elementi. Anzitutto che il sen. Cossiga disse di aver appreso quanto sopra dall’ammiraglio Fulvio Martini, ex direttore del SISMI. Nessuna prova venne mai esibita.
Personalmente sono stato sempre incline ad addebitare la responsabilità alla Francia. Dapprima a causa del depistaggio fornitomi dall’ambasciata di Parigi a Roma, poi per il reciso rifiuto di informazioni da parte del Ministère des Armée, quindi per le porte chiuse alle quali inutilmente bussò anche un collega francese del Figaro con il quale collaboravo.
I francesi tenevano duro: le loro portaerei Foch e Clemenceau quella sera erano “ à quai à Toulon” –ormeggiate a Tolone – e dalla base militare di Solenzara, in Corsica, non potevano essere decollati aerei in quanto la stessa era stata chiusa alle ore 17. Il sospetto che avessero mentito mi venne confermato da un generale dei Carabinieri, incontrato in Calabria nel corso di un’altra inchiesta giornalistica: il gen. Nicolò Bozzo riferì che la sera del 27 giugno 1980 era in vacanza con il fratello proprio a Solenzara ed era stato testimone del decollo dalla base di numerosi aerei militari. Lo confermò agli inquirenti. I francesi avevano mentito, perché?

SOSPETTI E MINACCE

Quarant’anni di lavoro giornalistico attorno a questo grande mistero italiano. Il caso ha voluto che mi trovassi proprio a Ustica la sera in cui precipitò il DC9 Itavia. Amici siciliani mi accusarono perfino di aver involontariamente, con la mia presenza e il primo articolo, determinato il titolo della strage: “di Ustica” e non “di Ponza”, l’isola più prossima all’inabissamento. Un destino e un marchio professionale dunque, fino a oggi: presente, spesso testimone, oggetto di confidenze e di minacce.

La prima fotografia di un pezzo del DC9 la prendemmo con Maurizio Saglio, la sera stessa dell’incidente, partendo da Ustica su una barchetta e “abbordando” la nave Bannok, che dal mare aveva recuperato il cono di coda dell’aereo. Anni dopo, su un motoscafo noleggiato a Capri, con il fotografo Bruno Rosi e un operatore del Tg1 affrontammo un mare pauroso per immortalare il primo frammento del DC9 recuperato dal Tirreno dalla nave Noirot della società francese IFREMER.

Il ministro dei Trasporti Rino Formica fu subito informato che il DC9 era stato abbattuto da un missile. A riferirglielo fu il suo amico generale Saverio Rana, ex pilota e presidente del RAI, il Registro Aeronautico Italiano, il quale aveva visionato il tracciato radar dell’incidente. Quando Rana morì, l’attaché aeronautico a Washington, col. Santucci, testimoniò alla Commissione Parlamentare Stragi che il presidente del RAI fece esaminare il tracciato dei radar dalla Federal Aviation americana ma che questa negò la tesi della presenza di un caccia nei pressi del DC9. Più avanti intervistai negli Stati Uniti Langhorn Bond, all’epoca presidente della Federal Aviation. Mi dichiarò che sì, aveva incontrato il generale Rana suo buon amico, ma negò di avere mai visionato con lui i tracciati dell’incidente. L’attaché aeronautico Giorgio Santucci venne indagato dal giudice Priore per falsa testimonianza.

Bugie e disinformazione da parte di militari dell’Aeronautica sono agli atti, sia dei magistrati sia della Commissione Stragi. Tutti gli interpellati, ad esempio, hanno sempre negato l’ipotesi del missile e invece furono proprio loro i primi a sospettarlo. A Dallas, in Texas, intervistai Richard Coe, ufficiale pilota in servizio presso l’ambasciata Usa a Roma la notte in cui precipitò il DC9. Mi raccontò che dai militari italiani gli fu chiesto se fosse stato un velivolo americano ad abbattere l’aereo civile. Lui interpellò la VI Flotta a Bagnoli e la base Usa a Ramstein, in Germania, ma quelli caddero dalle nuvole. Il mattino dopo, l’ambasciatore Gardner riunì i suoi più alti esponenti della diplomazia, dei militari e della Cia. Ordinò loro di indagare sull’eventuale responsabilità degli Stati Uniti nell’incidente. E così fecero.

L’allora maggiore, poi colonnello, Richard Coe fu tra i più attivi ma come gli altri non riuscì a trovare nulla. Mi raccontò però che ogni giorno ufficiali del SIOS, il servizio segreto dell’Aeronautica, telefonavano per sapere se avessero individuato chi aveva lanciato il missile. Coe mi fece anche i nomi di questi ufficiali: il col. Zeno Tascio, capo del SIOS, i capitani Adriano Piccioni e Claudio Coltelli suoi collaboratori. Il giudice Priore – come riportò nella sua sentenza ordinanza del 1999 – acquisì la mia intervista del TG1 e scoprì che, interrogati, Piccioni e Coltelli gli avevano mentito.
Poi, anche Richard Coe, contattato da uno dei due ufficiali italiani del Sios Aeronautica, si rimangiò tutto e quando entrambi fummo convocati a Washington, per un confronto al Dipartimento di Giustizia, lui non si presentò. Io invece ero presente e, a causa del freddo e neve di quel giorno, mi presi una bronchite. Ma le sue parole registrate risuonarono comunque nell’aula bunker di Rebibbia, al processo di Assise dove venni interrogato come testimone.

MANOVRE SEGRETE

Quando la magistratura italiana decise di recuperare il relitto del DC9 incaricò la IFREMER, società francese di ricerca e operazioni sottomarine, in possesso di un sommergibile, il Nautile, in grado di raggiungere la profondità di 3700 metri dove l’aereo era precipitato. La commissione dei periti giudiziari si recò nella sede di Tolone, prese accordi e firmò il contratto di recupero. La campagna iniziò però soltanto mesi dopo, offrendo così alla società IFREMER – sospettata dal SISMI di collaborare con i Servizi francesi – l’opportunità di scandagliare i fondali senza testimoni.

Per indagare sulla caduta del Mig libico, mi recai personalmente sulla Sila, luogo dell’incidente, accompagnato dallo stesso vigile del fuoco che aveva a suo tempo recuperato il cadavere del pilota. Parlai con quasi tutti i testimoni locali e realizzai un rèportage che smentiva ricostruzioni fantasiose sulla responsabilità di quel libico nell’abbattimento del DC9. Il giorno successivo ricevetti una strana telefonata da parte di un giornalista che sapevo nell’orbita dei servizi segreti: “Dai retta a me, tu che hai famiglia, lascia perdere!” Non l’ho fatto. Forse sono stato a un passo dalla verità quando venni in possesso di quella che poteva rivelarsi una prova definitiva. Dutante la notte, qualcuno la rubò scassinando la mia scrivania metallica all’interno della redazione del Tg1. Da quel lontano 1980 ci sono stati insabbiamenti, depistaggi e perfino morti sospette fra coloro in qualche modo riconducibili alla vicenda. Fino ad ora, la verità provata è l’ottantaduesima vittima di quel DC9.

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