Un inviato speciale si trova spesso a dover mettere a dura prova la propria sensibilità umana. E’ quanto accadde in Sierra Leone, al cospetto delle conseguenze della terribile guerra civile che fra il 1991 e il 2002 fece 120 mila morti.
Mi recai in quel paese africano all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle a causa del ruolo che i suoi preziosi diamanti ebbero nella pianificazione dell’attentato da parte di Osama Bin Laden. Il capo di Al Qaeda, nella certezza del caos economico e del tracollo del dollaro all’indomani dell’11 settembre, fece incetta dei diamanti del Kono, tra i più ricercati. L’attacco terroristico gli fruttò pertanto anche nuove ricchezze.
L’avvicinamento a quella regione settentrionale della Sierra Leone fu graduale e preceduta da un approfondimento giornalistico sulle cause che quegli stessi diamanti avevano già avuto nello scoppio della guerra civile. I guerriglieri del RUF –Revolutionary United Front- guidati da Foday Sankoh, scatenarono un conflitto contro il governo centrale proprio per il possesso delle miniere del Kono e il commercio mondiale delle sue pietre preziose. Durante il viaggio verso la regione dei diamanti, tra bush e posti di blocco, il fuoristrada sul quale viaggiavo con il tele-cine-operatore Stefano Leonardi a causa di un misterioso guasto allo sterzo è finita in un burrone. Tutti felicemente incolumi tranne il sottoscritto, gravemente ferito a una spalla. NELLA FOTO: LA RICHIESTA DI SOCCORSI CON IL TELEFONO SATELLITARE.
Tornando al RUF, una delle misure intraprese per terrorizzare la popolazione civile consisteva nelle amputazioni di massa. I guerriglieri mettevano in fila decine di persone prese a caso, donne, uomini, bambini, e una alla volta amputavano loro una mano, un braccio, una gamba a colpi di machete. La cosa più terribile –mi raccontò uno dei tanti che intervistai, una ragazza – fu dover restare in fila in attesa del proprio turno e assistere impotenti. Le inchieste, come accade per il medico coscienzioso, non possono permettersi sentimentalismi, pertanto facendo forza su me stesso continuai a intervistare, filmare e riportare i terribili racconti degli amputati.
Lo stesso accadde con i bambini che erano stati “arruolati” a forza dalle bande e costretti a combattere e uccidere. I pochi disposti a raccontare le loro esperienze terribili chiedevano di essere filmati di spalle, parlavano sottovoce, rievocavano con vergogna.
Tra loro, ricordo una ragazza ancora adolescente, costretta nel ruolo di cuciniera e di schiava sessuale. Rimasta incinta, dovette continuare nel proprio ruolo e perse il bambino. Continuarono a stuprarla e schiavizzarla. A quel punto del racconto, la poverina iniziò a singhiozzare incapace di proseguire: immagini terribili ma “preziose” per l’inchiesta dal punto di vista emotivo. Mi girai verso il mio amico operatore Stefano Leonardi e non ci fu bisogno di parole: lui spense la telecamera e io provai a lenire il pianto inconsolabile di quella poverina. Quella testimonianza non andò in onda.